giovedì 28 febbraio 2008

Ali Abou Shadi: "la lama e l'inchiostro"

Pochi giorni fa ho pubblicato il post “Cinematografia egiziana: lungimiranza del censore e bigottismo del pubblico” relativo all’atteggiamento della censura nei confronti del cinema egiziano, facendo riferimento in modo particolare al trattamento dell’omosessualità. Oggi torno sull’argomento (e ci tornerò più volte!) proponendo in traduzione italiana, una bella intervista realizzata da Nadia Abou Al-Magd (apparsa sul settimanale egiziano “Al Ahram weekly” nel luglio del 1999) al Presidente della Censura egiziana Ali Abou Shadi.
Segue l’articolo.

Si laurea al dipartimento arabo dell’Università del Cairo, presso la Facoltà di Arte. (..)
Dopo la laurea, nel 1966, si unì al Ministero della Cultura e scrisse diversi libri di critica cinematografica. Nel 1975 ottenne il diploma di critica d’arte e da allora il suo nome è stato associato a quello di importante critico.

Gli fu offerto il ruolo di Presidente della censure nel 1988, ma declinò l’offerta e nel 1996 gli fu nuovamente offerto quel lavoro e, nonostante una certa riluttanza, accettò.


Sono felice di aver accettato adesso e non 11 anni fa, perché nel frattempo sono notevolmente cresciuto sul piano artistico. Ho letto tantissimo sulla censura e ho terminato un lungo studio sulla relazione tra censura ed estremismo. La mia esitazione era dovuta soprattutto alla questione di come avrei trovato un compromesso tra censura e creatività, o, più specificamente, tra censura e criticismo.”

Nel suo libro, intitolato "L’impatto dell’estremismo sulla censura del cinema e della televisione”, scrisse che gli artisti dotati di autentica creatività sono soggetti a pressioni da parte di un’enorme varietà di istituzioni:
dipartimento della censura artistica, dipartimento della censura televisiva, apparato di sicurezza nazionale, il ministero degli interni di Al-Azhar.
Concludeva dicendo che “la censura contribuisce, attraverso il terrore, la prudenza, la solidarietà e la partecipazione a imporre concetti estremi nei cuori e nelle menti di molti. Ci vorrà troppo tempo per eliminare quest‘influenza.”
Il lavoro di censore, gli venne offerto dopo che questo studio fu pubblicato. “Forse volevano punirmi”, dice ridendo.

“Ho accettato questo lavoro come un dovere. Io sono una di quelli che ha più criticato la censura, ma non ho mai detto che dovrebbe essere abolita. Sono al servizio dello stato dal 1968. Ritengo che il lavoro statale sia un ruolo pubblico. Se ciascuno di noi eccellesse nel lavoro di cui si occupa, credo che l’Egitto sarebbe un luogo diverso”.
Per Abou Shadi, la censura è un sottoprodotto della società, e il mestiere di censore resterà necessario fin quando la società sarà matura abbastanza da rimpiazzare la censura statale con la censura popolare. La censura è come un matrimonio – e, spesso, si divorzia: un male inevitabile” dice, ridendo.
Ovviamente Abou Shadi crede che la società egiziana non sia ancora pronta, così l’esistenza della legge della censura, non dovrebbe essere modificata.
Siamo in un paese in cui c’è una seria confusione concettuale. L’atmosfera conservatrice forzata dal fondamentalismo predomina ancora”.
Quando ha accettato il lavoro, sono scoppiate diverse “lotte” causate da quelli che lui definisce “estremisti”. “Sin dal primo giorno, la mia politica è stata di non dire quello che avevo intenzione di fare. Faccio ciò che voglio.” Abou Shadi non dirà tanto, perché non vuole dare agli estremisti quello che vogliono di più: pubblicità.”
Ma le battaglie sono risapute. L’anno scorso, ad esempio, un gruppo di avvocati ha aperto un caso contro Abou Shadi per aver approvato la proiezione di un film chiamato “nudità” (titolo poi mutato in “Conversazione notturna”) diretto da Inas el Deghidi.
Gli avvocati hanno basato la loro accusa su un’intervista in cui Abou Shadi dichiarava:
“La censura può permettere le cose che accadono nella vita .. perché non ci esercitiamo a fronteggiare quelle cose senza timore o senza eccessiva sensibilità?” I legali non avevano visto il film, che è stato ultimato quando portarono Abou Shadi in tribunale.
Il problema è che tutti quelli che sono stati coinvolti in tali battaglie con la censura non vedono i film di cui si lamentano”, dice esasperato.
Abou Shadi è comunque lieto che il principale problema della censura non stia più nel modo di sopprimere la creatività e mettere a tacere gli artisti. Al contrario, ritiene che il censore e gli artisti formino una coalizione “contro i dissidenti che stanno cercando di sopprimere la creatività”.

L’anno scorso, c’è stata inoltre la controversia de “L’avvocato del Diavolo” e sono stati usati toni blasfemi, la questione è stata affrontata dall’Assemblea del Popolo. Un membro di al Azhar è esploso dicendo : “l’americano Avvocato del Diavolo insulta Dio nel Paese di al Azhar”.


Ciò che mi ha fatto davvero arrabbiare è che questa era una falsa accusa proveniente da gente che non aveva visto il film, ma stava facendo un sacco di clamore. Ho realizzato di combattere quella battaglia da solo”. Le battaglie hanno bisogno di tempo. Bisogna essere coraggiosi e veri con se stessi, ecco tutto. Naghib Mahfuz ha detto che “le conseguenze del coraggio sono più semplici da affrontare, rispetto a quelle della codardaggine.”

Una parte della sua lotta quotidiana è dovuta al fatto che è incapace di “segnare la linea di demarcazione tra creatività e censura. “Il mio problema è che la mia vita, il mio hobby, la mia professione, i miei amici sono tutti sullo stesso piano. A volte questa è una benedizione, altre volte, una maledizione.”
(..)
Abou Shadi ritiene che l’arte sia “più lungimirante della censura e più immortale”. Ha inoltre proposto che le copie originali dei film che ha censurato vengano salvate, integralmente, presso gli archivi del Centro Nazionale di Cinema. Dopo tutto, dice, “cose che vengono censurate oggi, potrebbero esser permesse in futuro”.
Questo sembra improbabile comunque, dato che, come nota, “film che sono stati approvati dalla censura degli anni ’60 e ’70, come Al-hammam al-malatili (“Il bagno di Malatili”, un film che include una parte esplicita sull’omosessualità), non passerebbero l’ufficio della censura integralmente, oggi. “L’Egitto di allora era diverso – meno conservatore”, considera.
Abou Shadi ha unito i frammenti apparentemente inconciliabili della sua personalità – la sua passione per l’arte e il cinema e il suo ruolo di censore – con un piccolo conflitto, sembra.


Spesso sono il censore, ma sempre sono un critico”, dice tranquillamente.

In quanto Ali Abou Shadi, potrei accettare cose che le leggi della censura rifiutano. In quanto critico, propendo per un’infinita libertà, ma in quanto censore, devo applicare la legge.”

(..)
Dopo aver parlato con Ali Abou Shadi, è praticamente impossibile immaginarlo utilizzare le forbici del censore con distacco, ambivalenza e senza scrupoli. In qualche modo, si percepisce che non ha mai messo da parte la sua penna di critico.

mercoledì 27 febbraio 2008

"Bisaraha" - testo e traduzione - Julia Botros

Julia Botros
"Bisaraha"
Bisaraha, ya habibi nsitak
(Francamente, amor mio, ti ho dimenticato)
Ma ‘ad yegme‘na shi
(Non ci lega più nulla)
bel-madi yemken habbaytak
(Forse in passato ti ho amato)
laken halla wa-la shi
(Ma ora più niente .. (2 volte))

Fikrak mesh ‘ala fikri … ’abadan
(Le tue idee non sono come le mie .. affatto!)
w la tab‘ak ‘ala tab‘i
(Il tuo carattere non è come il mio .. assolutamente!)
enta ma b-teshbahni ’abadan
(Tu non mi assomigli .. per nulla)
enta ma b-teshbah-ni bi-shi
(Non mi assomigli in niente (2 volte) )

Bisaraha, ya habibi nsitak
(Francamente, amor mio, ti ho dimenticato)
Ma ‘ad yegme‘na shi
(Non ci lega più nulla!)
bel-madi yemken habbaytak
(Forse in passato ti ho amato)
laken halla wa-la shi
(Ma ora più niente .. (2 volte))

bisaraha fakkart ktir
(Francamente, ho riflettuto molto)
w-‘azzabetni ’afkari
(I pensieri mi hanno tormentata)
shu ya‛ni ma‛ul isir
(E allora sia quel che sia)
heyda huwwi arari
(Questa è la mia scelta (2 volte))

‘emri hara’tu ‘ahsabak
(Ho bruciato la mia vita per te)
hdurak ’aqsa men gheyabak
(Sto meglio quando non ci sei)
sakker ‘albak w buwabak
(Chiudi il tuo cuore e le tue porte)
mesh hases bishi
(Non senti niente (2 volte))

Bisaraha, ya habibi nsitak
(Francamente, amor mio, ti ho dimenticato)
Ma ‘ad yegme‘na shi
(Non ci lega più nulla!)
bel-madi yemken habbaytak
(Forse in passato t’ho amato)
laken halla wa-la shi
(Ma ora più niente .. (2 volte))

rah ersom ‘emri men jdīd
(Ridisegnerò la mia vita)
‘al-madi esakker babi
(Chiuderò la mia porta al passato)
‘anni sert ktir b‘id
(Ormai sei lontanissimo da me)
sefha mhitha men ktabi
(Sei una pagina che ho cancellato dal mio libro (2 volte))

bukra tendam ‘ala halak
(Un giorno rimpiangerai te stesso)
w byeb’a l-wahm ‘ebalak
(E rimarrà davanti a te l’illusione)
dallak ‘ayesh bikhayyalak
(Continuerai a vivere di fantasie)
ma tfakker bishi
(Non pensare a niente .. (2 volte))

Bisaraha, ya habibi nsitak
(Francamente, amor mio, ti ho dimenticato)
Ma ‘ad yegme‘na shi
(Non ci lega più nulla!)
bel-madi yemken habbaytak
(Forse in passato t’ho amato)
laken halla wa-la shi
(Ma ora più niente .. (2 volte))

fikrak mesh ‘ala fikri … ’abadan
(Le tue idee non sono come le mie .. affatto!)
w la tab‘ak ‘ala tab‘i
(Il tuo carattere non è come il mio .. assolutamente!)
enta ma b-teshbahni ’abadan
(Tu non mi assomigli .. per nulla)
enta ma b-teshbah-ni bi-shi
(Non mi assomigli in niente (2 volte)

lunedì 25 febbraio 2008

Egypt’s first graphic novel captures the zeitgeist



I don't know how all this anger built up in me .. All I know is everyone was always some place and I was some place else that left me with just one thing: my brain. Now at least I'm going to do what my brain's been telling me ..


Questa è una delle frasi più significative che si leggono nel fumetto di Magdy Al Shaf'i. La ragione per la quale la cito risiede nell'universalità del suo pensiero. Molti di noi hanno prodotto un pensiero simile a questo o lo faranno - un giorno o l'altro - è solitudine, insoddisfazione, stanchezza, pericolosa disperazione ..


Poco fa ho letto un'intervista rilasciata da Al Shaf'i al quotidiano Daily Star Egypt, che posto di seguito. Inoltre, domani mattina, la tv egiziana Sabah Al Khayr ya Misr trasmetterà un incontro con l'autore.



Egypt’s first graphic novel captures the zeitgeist


By Sarah Carr First Published: February 22, 2008


Words and ideas seem to float out of Magdy El Shafee like steam under the lid of a saucepan — a sort of gentle chaos surrounds the pharmacist turned graphic novel artist. This is possibly because his thinking is frequently done out and loud, a patter of words which are both the footsteps marking his journey to the point he wishes to make, and commentaries on the flights of fantasy by which he is occasional seized.
He tells me about the time he put on a white winter jacket which made him look like an astronaut when he zipped it up. “All I needed was a helmet! I told me family ‘look at me I look like an astronaut.’” What did they say? I wondered. “They laughed — I don’t know why.”
“Metro” is El Shafee’s (and Egypt’s) first graphic novel for adults. Part thriller, part love story, part socio-political commentary, it tells the story of Shihab and Mostafa — young men who rob a bank as a way out of bankruptcy — through beautifully rendered illustrations of Cairo.
El Shafee was quick to disabuse me of the notion that “Metro” was born out of a moment’s flash of inspiration.
“Artists talk about inspiration descending on them but that’s bullshit. In 2003 the idea came to me. A friend of mine was broke and left the country — this gave me the clue and I thought, ‘OK, suppose if they’re two people.’ The idea came to me that I would portray one as assertive and his friend is nice, funny and so on.”
But why a comic?
“All my life I’ve been interested to know why people only tell stories with words, not pictures. Once I found a magazine that does comics for adults, and I really liked it, I said ‘that’s something I can do’. This was early on, but at that time Egyptian society didn’t accept it. Now because of more communication and everything there’s a generation of people who grew up with comics.”
El Shafee says that the turning point came in 2003 when he took part in an American University in Cairo comic workshop which provided him with the “keys” to graphic novel design.
“I wanted to find the keys to drawing comics — such as the storyboard. This is different altogether to a classical drawing. It depends on something like the editing in cinema which separates cinema as the seventh art; the storyboard separates comics as the ninth art. You have a space, and events which happen very quickly, or very slowly, and you divide up the page according to this. I learnt to do this in the workshop,” he said.
El Shafee quickly won support for his drawings in the Al-Ahram release “Alaa Eddin”, a children’s comic, where his “Yasmine and Amina” series was published. There he met Ahmed El-Labad, designer of the iconic covers of books produced by Egyptian publishing house Merit, who El Shafee describes as the “reference” for visual art who has constantly strived “establish Egyptian comics.”
Extracts of “Metro” were also published in the independent daily Al Dostour, edited by Ibrahim Eissa.
“But I blame Eissa for something,” El Shafee said. “With El-Labad I always felt like a student, that I was learning with him, but Eissa made me feel like a master. That was shocking for me, astonishing, I thought to myself ‘what’s this! I’m drawing comics!’”
It is perhaps “Metro’s” overtly political tone which appealed to outspoken government critic Eissa.
The novel is a visual record of the zeitgeist, filled with poverty, sexual frustration, corruption and abuse, drawn from the events which surrounded El Shafee when he was plotting the novel.
“At that time there were demonstrations against hereditary succession…sexual assault of journalists in protests…the war in Lebanon…I thought that all these things would make a really great backdrop for a story like this,” El Shafee explained.
“I used to go and see my daughter Yasmine every Friday and during the journey there and back my thoughts would be lucid — I’d be happy that I’d seen Yasmine and I’d think about these things,” he continued.
El Shafee says that he did not, however, set out to make “Metro” political.
“I didn’t intend it to be political — I wanted it to be a thriller. But I’m talking about events which happen and which have been happening since 2003 and 2004. Politicians have this point of view about the population, have data which is wrong. It’s impossible that someone like [Prime Minister] Nazif has concluded that he should get rid of subsidised food for the poor — it’s wrong. These people don’t have a strategic outlook, they don’t think from a health aspect, an education aspect or an economic aspect…That’s the reality,” he said.
The fate of “Metro’s” protagonists is dictated by these circumstances, particularly that of the gifted but unlucky Shihab.
“After I had completed one third of the book I redid the story and altered Shihab’s appearance…He had been bolder, more violent. I wanted the reader not to sympathize with him at first, and then little by little discover that he has a heart, is trustworthy and in the end is cheated. In the end, with his talents, his power and everything, he wants to do something real but he has no option but to rob a bank,” El Shafee said.
But how will readers react to seeing the harsh reality of Egyptian society presented to them? Do recent Egyptian films like “Hena Maysara” and “Heyya Fawda” indicate a greater readiness, or desire, to see previously taboo aspects of Egyptian life?
“No one in the world likes to see the reality of themselves in the mirror. I don’t like someone to stand in front of me and say, ‘Magdy: you are a bastard’ but another part of us — including societies — likes to see the nastier aspects of ourselves,” he responded.
“Metro” is published by Dar El Malameh which opened in 2007 and which has gained a reputation for publishing first-time, young authors, but El Shafee’s experience with the new-found publishing house hasn’t been altogether pleasant.
“It was a big mistake,” he said about signing on with Malameh. “That was my biggest mistake. Apart from the fact that he [Mohamed El-Sharqawy, Malameh’s manager] doesn’t know how to distribute, launch or market a book, I think he wants to promote his own agenda, and that’s a pity because I wanted to support him.”
Two weeks ago “Metro” (LE 60) was only available in the Townhouse Art Gallery’s shop. Independent bookshop Diwan (whose young, wealthy customer base would likely be drawn to the book) were not stocking it and had no record of it in their stock catalogue.
El Shafee says that he will look for a different publisher to carry the soft back edition of his comic.
The Townhouse is currently hosting a workshop given by El Shafee in which 12 young artists are collaborating to produce a graphic novel.
The author is barely able to contain his enthusiasm about the workshop.
“Things are very exciting, they’re making something really exciting,” he said. “We’re looking for funds to publish it.”
It seems this is merely of many plans up his sleeve.
“I’m having a little break, apart from the workshop which I didn’t realise would turn into something real, it’s like a dream come true. It might turn into a job, with weekly meetings until next summer. Then I’ll be back for Alaa Eddin and Al Dostour — something like paying them back for their dedication and the efforts they made for me,” he said.
“Afterwards, I have two ideas for two graphic novels, one based on autobiographical events, mostly affairs — I may get divorced for the second time. So I’ve postponed it for a while.”







Extracts of the novel, translated into English by Humphrey Davies, are available at: http://www.wordswithoutborders.org/?lab=ShaffeeMetro

Oscar 2008: Ben quattro statuette a "No Country For Old Man"


Si è conclusa ieri sera l’edizione 2008 degli Oscar, purtroppo non tutti i film che avremmo voluto ricevessero la statuetta, ce l’hanno fatta.
Segue la lista completa dei trionfatori:



BEST PICTURE: "No Country for Old Men" (Miramax and Paramount Vantage) A Scott Rudin/Mike Zoss Production Scott Rudin, Ethan Coen and Joel Coen, Producers.



DIRECTOR: Ethan Coen & Joel Coen - "No Country For Old Men"

PERFORMANCE BY AN ACTOR IN A LEADING ROLE: Daniel Day-Lewis in "There Will Be Blood" (Paramount Vantage and Miramax)

PERFORMANCE BY AN ACTRESS IN A LEADING ROLE: Marion Cotillard in "La Vie en Rose" (Picturehouse)



ORIGINAL SCREENPLAY: Diablo Cody - "Juno"



ADAPTED SCREENPLAY: Ethan & Joel Coen - "No Country for Old Men"



PERFORMANCE BY AN ACTRESS IN A SUPPORTING ROLE: Tilda Swinton in "Michael Clayton" (Warner Bros.)



PERFORMANCE BY AN ACTOR IN A SUPPORTING ROLE: Javier Bardem in "No Country for Old Men" (Miramax and Paramount Vantage)



COSTUME DESIGN: "Elizabeth: The Golden Age" (Universal) Alexandra Byrne
ANIMATED FEATURE: "Ratatouille" - (Pixar; Walt Disney Studios Motion Pictures Distribution) Brad Bird



MAKEUP: "La Vie en Rose" (Picturehouse) Didier Lavergne and Jan Archibald



VISUAL EFFECTS: "The Golden Compass" (New Line in association with Ingenious Film Partners) Michael Fink, Bill Westenhofer, Ben Morris and Trevor Wood



ART DIRECTION: "Sweeney Todd The Demon Barber of Fleet Street" (DreamWorks and Warner Bros., Distributed by DreamWorks/Paramount) Art Direction: Dante Ferretti; Set Decoration: Francesca Lo Schiavo



LIVE-ACTION SHORT FILM: "Le Mozart des Pickpockets (The Mozart of Pickpockets)" (Premium Films) A Karé Production; Philippe Pollet-Villard



ANIMATED SHORT FILM: "Peter & the Wolf" (BreakThru Films) A BreakThru Films/Se-ma-for Studios Production



SOUND EDITING: "The Bourne Ultimatum" (Universal) Karen Baker Landers and Per Hallberg



SOUND MIXING: "The Bourne Ultimatum" (Universal) Scott Millan, David Parker and Kirk Francis



FILM EDITING: "The Bourne Ultimatum" (Universal) Christopher Rouse



FOREIGN LANGUAGE FILM: "The Counterfeiters" – Austria



ORIGINAL SONG: "Falling Slowly" from "Once" (Fox Searchlight) Music and Lyric by Glen Hansard and Marketa Irglova



CINEMATOGRAPHY: "There Will Be Blood" (Paramount Vantage and Miramax) Robert Elswit

domenica 24 febbraio 2008

Cinematografia egiziana: lungimiranza del censore e bigottismo del pubblico

Nella maggior parte dei Paesi arabi, e in ciò l’Egitto non fa differenza, il progetto di un film deve innanzitutto essere vagliato da una commissione statale la quale rilascerà o meno il permesso di girare le scene e, una volta ottenuto il permesso, occorre conseguire un altro placet, una sorta di visto che viene rilasciato da una commissione del ministero dell’informazione o da una commissione della censura affinché il film venga immesso nel mercato. L’ingerenza dello stato nel campo del cinema risale alla nascita di quest’ultimo ma la censura ufficiale è iniziata nel 1921. Nel 1976 è stata approvata la cosiddetta 11 comandamenti della censura, una legge che rettificava quella del 1955 sulla censura. Le più importanti aree di tabù poste sotto la sorveglianza della censura sono il sesso, la religione e la politica:
le religioni divine (Islam, Cristianesimo e Giudaismo) non vanno criticate; le azioni immorali e i vizzi non dovrebbero essere giustificati, bensì puniti; immagini di corpi nudi o un’enfasi smodata su singole parti erotiche, la rappresentazione di scene sessualmente eccitanti e scene in cui si fa uso di alcol e droghe non sono permesse. Inoltre è proibito l’eccessivo uso di horror e violenza, o incitare alla loro emulazione, è vietato rappresentare problemi sociali che sconvolgano la mente, o dividano le religioni, le classi e l’unità della nazione.
Nonostante le interdizioni contenute nelle varie leggi sulla censura[1], fin dagli inizi del cinema egiziano, negli anni ’20, la sessualità è stata, in un modo o nell’altro, espressa nei film, e sempre nei limiti dei cosiddetti rapporti eterosessuali. Qualunque altro comportamento sessuale è considerato illecito[2].
Come conferma il critico cinematografico Sabban, sebbene non fosse vista sotto una luce positiva, “l’omosessualità non è stata del tutto assente dal cinema egiziano”[3].
D’altronde, era il pubblico stesso a rifiutarla, e perfino gli artisti talvolta accettavano con riluttanza di interpretare il ruolo di un personaggio omosessuale temendo di compromettere la loro immagine di fronte al pubblico. Purtroppo tutt’oggi alcuni attori e attrici si tirano indietro di fronte all’interpretazione di un personaggio omosessuale. La produzione di ‘Imarat Ya‘qubiyan…n ha trovato il personaggio del giornalista gay dopo aver ricevuto i rifiuti da parte di ben sei star, tra le quali anche Faruq Al-Fišawī che si è tirato indietro pochi giorni prima che iniziassero le riprese del film, temendo che potesse accadere nuovamente quanto era successo a Yusuf Ša‘ban che interpretava l’artista gay in Hammam al Malatili nel 1973: Fišawī ha rifiutato il ruolo temendo di danneggiare la sua immagine.
Malgrado il cinema abbia lasciato che criminali, assassini, corrotti e omicidi avessero la loro espressione drammatica, il ruolo dell’omosessuale ha subito pesanti restrizioni, per il sospetto che venisse eseguito da attori omosessuali.
Se la rappresentazione esplicita degli atti omosessuali è stata oggetto di una strettissima censura, le allusioni cinematografiche a gay e lesbiche, come è accaduto nelle cinematografie di altre società, sono state codificate e mascherate per bypassare le forbici della censura attraverso il procedimento del travestimento. Registi e sceneggiatori hanno sempre trovato diversi escamotage per raggirare le forbici della censura, preferendo affrontare i temi più delicati come quelli legati alle devianze sessuali, distorcendone la connotazione attraverso l’ironia o l’ambiguità oppure in modo indiretto tramite allusioni e messaggi codificati come fanno Šahin, Nasrallah e altri. Va ricordato che nessun film egiziano è stato più bandito a partire dal 1984, tutt’al più la commissione della censura egiziana ha chiesto ai cineasti di apportare delle modifiche. Pochi anni fa il ministro della cultura prese la decisione di proibire il romanzo e il film Il codice Da Vinci, ma nei fatti sono stati entrambi reperibili in Egitto e sono inoltre uscite delle copie in lingua araba su internet.


[1] Per un approfondimento sulla censura, cfr. G. Phelps, Film Censorship, London, Victor Gollancz, 1975; cfr. anche V. Shafiq, Egyptian cinema, in Companion Encyclopedia of Middle Eastern and North African Film, a cura di O. Leaman, 2001.
[2] L’Islam riconosce sia agli uomini che alle donne il diritto a una vita sessuale e all’appagamento fisico e sancisce le relazioni eterosessuali all’interno del matrimonio e del concubinaggio legale.
[3] R. Sabban, Les six grands tabous du cinéma égyptien, in «Les cinémas arabes, numero speciale di Cinémaction» , Parigi 43/1986, p. 136.

A kana la budda ya Lyly an tudiya al-nur?! .. L' Imam Abd el 'Al tra Yusuf Idriss e Marwan Hamid

Il debutto professionale di Marwān Hamid risale al 2001, con l’avvincente cortometraggio di 40 minuti che porta il titolo di «Lyly» dal nome della protagonista.La sceneggiatura, firmata dalla penna di Marwān Hamid, è un adattamento della novella «A kāna lā budda yā Lyly an tudiya’ al-nūr» ("Lyly, era proprio necessario che accendessi la luce?") dello scrittore egiziano Yusuf Idriss (1927-1991), amato dal regista sin da piccolo nonchè, secondo il critico Farid, uno degli autori più saccheggiati dagli studenti dell’Istituto di Cinema.«Lyly» partecipa a numerosi festival - locali e internazionali - ricevendo ben otto premi che vanno dall’Italia, alla Tunisia, alla Francia, all’Egitto :
· Premio del pubblico al «Festival Internazionale di Clermont-Ferrand» nel 2001
· Premio d’oro al «Carthage Film Festival» nel 2002
· Premio Speciale di TV5 al «Carthage Film Festival» nel 2002
· II Premio al «Milano Film Festival» nel 2002
· Premio Speciale della Giuria al «Isma‘iliya Film Festival» nel 2001
· II Premio al «Abitibi Film Festival», Canada
· Premio d’oro al «International Tunisian Short Film Festival»
· II Premio al «National Film Festival», Egitto


Sinossi
‘Abd el ‘Āl, interpretato dal brillante ‘Amrū Wāked, è un giovane Imam del Cairo che viene assegnato alla moschea di via Bāţiniyyah, all’interno di un quartiere popolare in cui il traffico della droga avviene sotto gli occhi di tutti. L’Imām tentando di ricondurre i fedeli sulla retta via, non tarderà a entrare in conflitto con il boss di quartiere il quale gestisce persino un banchetto in cui smercia hashish come se si trattasse di tè o caffè. La sua missione è resa ancora più difficile dalla comparsa di Lyly, interpretata da Dīnā Nadīm.Lyly è una donna bellissima, nata dal matrimonio tra un’egiziana e un inglese, e vive da sola in un appartamento di fronte alla moschea, ogni volta che Abd el ‘Āl va a fare l’Adhān, questa accende la luce della sua camera e provoca l’Imam mettendo alla prova la sua vocazione .L’adattamento nel complesso, è fedele alla novella, se non fosse per la vistosa aggiunta della nuktah (barzelletta) tra due detenuti, posta ad aprire il film prima ancora che compaiano i titoli, e la modifica del finale, che viene lasciato aperto.Se nella novella, Abd el ‘Āl cede alla tentazione del diavolo lasciando i fedeli in sugūd e recandosi a casa di Lyly, nel film lo scioglimento viene lasciato aperto. Il cineasta attraverso l’espediente del sogno, lascerà che sia lo spettatore a decidere il finale da dare alla storia, facendo sì quindi che l’Imam resista alla tentazione del diavolo oppure soccomba.Marwān non aveva interesse a insegnare all’uomo una condotta di vita tramite un exemplum, bensì trattare la storia di quell’ Imam, ricco di umanità e di sensibilità, di amore per la gente ma anche timoroso di Dio.Tutte queste caratteristiche si palesano nella lotta personale con Lyly e con l’intera comunità di Bāṭiniyyah.Quanto invece al finale, dopo aver tentato di glissare sulla domanda, il regista afferma che l’epilogo non è stato definito e non nasconde che la prima volta in cui lesse la novella aveva sperato che l’Imam vincesse la tentazione del diavolo.



Il corto: focolare di creatività
Il film è stato presentato da alcuni giornali come un atto di accusa nei confronti della società islamica soprattutto per via della condotta del protagonista, l’Imam ‘Abd el ‘Āl, che ha offeso gli Shaykh di Al Azhār e i religiosi islamici.Così per lungo tempo è stato aggiunto alla lista di opere d’arte vietate nelle televisioni egiziane, e malgrado di solito si ovvii a inconvenienti simili utilizzando l ‘escamotage dei satelliti, la sua proiezione è stata oggetto di controversie persino sui canali satellitari e, soltanto dopo cinque anni dalla sua uscita, nel marzo del 2006 è stato dato su Rūtānā.Marwān esordisce con i cortometraggi prima di arrivare al lungometraggio «Palazzo Yacoubian» che, tra i tantissimi riconoscimenti avuti, è stato inserito a sigillo della rosa dei 100 migliori film in un secolo di storia del cinema egiziano[1].Il cortometraggio, viene ritenuto da molti soltanto una tappa che conduce poi al lungometraggio, Marwān sottolinea invece la peculiarità della sperimentazione che contraddistingue il corto (che sia un documentario oppure un film di fiction) viceversa difficile da realizzare nel lungometraggio e questo proprio perché, specie in Egitto, l’attenzione data ai corti è esigua e il loro pubblico è ridotto quasi esclusivamente all’entourage di esperti e cineamatori e, ricoprendo quindi un mercato di nicchia, gode di una libertà di espressione di gran lunga maggiore rispetto al lungometraggio che si rivolge al grande pubblico.In Egitto il genere del cortometraggio è rimasto nell’ombra dell’industria cinematografica, forse più del documentario, infatti nonostante i cine-teatri siano obbligati dalla legge a dare i cortometraggi prima ancora dei lungometraggi, la distribuzione dei corti viene spesso elusa o trascurata.In generale infatti la produzione di cortometraggi è circoscritta al National Film Centre e negli ultimi decenni, limitata alle tesi di laurea dell’ Istituto Superiore del Cinema del Cairo[2].Fuori dai confini nazionali dell’Egitto, in Europa come in America, si ha un’attenzione maggiore verso questa importante forma di espressione, campo privilegiato dei registi emergenti, basti pensare che nel più grande festival di corti, ossia il festival di Clermont-Ferrand il numero di visite supera i 150.000 spettatori, mentre il rinomatissimo festival di lungometraggi di Cannes ha un pubblico che si aggira intorno ai 200.000 spettatori.

[1] La selezione, contenuta in un libro di oltre 400 pagine che è uscito il 20 giugno 2007 edito da Ahmed El-Hadari, è stata approvata da Ahmed El-Hadari, Samīr Farīd e Kamāl Ramzī, in occasione della celebrazione del primo centenario del cinema egiziano che si è tenuto il 20 giugno 2007 alla biblioteca alessandrina, all’interno del primo Silent Film Festival organizzato dalla fondazione Cadr, guidata da Samir Farid.Samīr Farīd, The top 100, in «Al Ahrām weekly», 15-21march 2007, issue NO. 836.[2] V. Shafīq, Egyptian cinema, in AA.VV., Companion Encyclopedia of Middle Eastern and North African Film. O. Leaman (ed.), 2001.



sabato 23 febbraio 2008

Il cinema egiziano: Marwan Hamed




Considerato uno dei più talentuosi registi emergenti del cinema contemporaneo egiziano, Marwān Waḥīd Ḥāmed ha già firmato parecchie opere e, non ancora trentenne, nel 2005 ha diretto il suo primo lungometraggio, per il quale è stato stanziato il budget più alto della storia del cinema egiziano.
Marwān nasce al Cairo nel 1977, presso una famiglia in cui gli stimoli artistici non mancavano di certo, eppure malgrado fosse figlio del famosissimo sceneggiatore Wahīd Hāmed e dell’ex direttrice delle televisioni egiziane Zaynab Sawdān, non aveva mai aspirato a diventare regista né a lavorare nel campo artistico in generale, pensando piuttosto di iscriversi alla Facoltà di Economia e Commercio.
Ma la sorte ha voluto che questo progetto iniziale rimanesse incompiuto e, dopo i primi contatti con la macchina da presa, seguendo il consiglio del professor Sherīf ‘Arafah, si iscrive al «Ma‘ahed al-‘ālī li-l-sinīmā» ossia l’ Istituto Superiore di Cinema del Cairo, nella sezione di regia diventando allievo di grandissimi registi come il succitato Sherīf ‘Arafah, dal quale ha appreso l’abgadiyya (l’ ABC) della regia o il professore Khaīry Beshārah.
Nel 1999 si diploma con un cortometraggio di 15 minuti tratto dalla novella di Yusuf Idriss «Al-shaykh Shaykhah», in cui narra la storia dell’incontro tra ‘Omar, novello medico assegnato a un villaggio e lo shaykh Shaykha, un anziano sordomuto che conosce tutti i segreti dei villaggi, fin quando improvvisamente riacquisterà l’uso della parola.
Il film ha partecipato a vari festival, locali e internazionali, realizzando risultati di tutto rispetto.
Successivamente collabora per due anni come aiuto regista con alcuni dei più grandi maestri del cinema egiziano e suoi insegnanti dell’istituto di cinema, tra i quali ricordiamo Sherīf ‘Arafa, Samīr Sayyf, Abū Dawud Al Sīd, Khaīry Beshārah.
Ha anche lavorato al fianco di registri stranieri, che avevano scelto il Cairo come location dei loro film pubblicitari. Nella sua carriera ha realizzato più di sessanta film pubblicitari e si è nondimeno messo alla prova nel campo del film documentario dando alla luce tre lavori, ossia «Cairo» nel 1997, (Akhir al-layl) «La fine del mondo» nel 1998 e «Abū el Rish» che risale al 1999.
E’ stato direttore ufficiale del film documentario realizzato sul presidente Mubārak nell’ambito della campagna elettorale per le presidenziali del 2005.
«Palazzo Yacoubian» è l’opera che rivela inequivocabilmente il suo talento e le sue ambizioni.

Filmografia

· 1997, Cairo, documentario
· 1998, La fine del Mondo, documentario
· 1999, Abu El Rish, documentario
· 1999, Al-Shaykh Shaykha, cortometraggio
· 2001, Lylly, cortometraggio
· 2005, ‘Emarat Yacoubian, lungometraggio
*Ibrahim al-Abiyad, in fase di realizzazione, con la sceneggiatura di 'Abbas Abu Al Hasan.

domenica 17 febbraio 2008

«Metro» (مترو): Primo Graphic Novel made in Egypt!







Il Cairo torna alla ribalta, stavolta con un accattivante Graphic Novel per adulti, una novità dalle tinte forti e dal linguaggio crudo che si impone nel panorama della fumettistica egiziana.
«Metro» (مترو) è il titolo del fumetto, di Magdi Al Shafee[1] (مجدي الشافعي) è la matita che l’ha firmato. Magdi è un giovane cairota che ha fatto conoscere i suoi fumetti nel mondo della blogosfera per giungere infine alla proposta di pubblicazione del suddetto. Al Shafee aveva ricevuto offerte da parte di importanti case editrici egiziane, oltre che dalla Dar Merit[2], ma ha preferito affidarsi alla piccola Malamih, fondata da Mohamed Al-Sharqawi, il famoso blogger che quasi due anni fa fu arrestato per opposizione al governo (regime) di Mubarak.
Metro è stato presentato alla Fiera internazionale del Libro del Cairo[3], inoltre a partire dall’undici febbraio, i panels del fumetto saranno esposti alla Town House del Cairo.


CONTENUTI


Romanzo a fumetti, ambientato nella Cairo contemporanea, nel bel mezzo dell’insicurezza che investe la sfera finanziaria, ma non risparmia neanche quella sociale.
Il protagonista è il signor Shihab, un software designer che non riuscendo a pagare il debito contratto con uno strozzino, organizza una rapina in banca per risolvere definitivamente i problemi finanziari. Per realizzare l’impresa si avvarrà della complicità dell’amico Mustafà il quale, però, lo lascerà a bocca asciutta e fuggirà con la refurtiva. Non c’è lieto fine dunque, Shihab si troverà in un vortice di corruzione politica e finanziaria, in cui l’unica fonte di gioia per ammortizzare la tensione e tutto il male proveniente dall’esterno pare risiede nella giornalista Dina. Il romanzo è al momento disponibile soltanto in arabo ma sono certa che non si dovrà attendere a lungo per averlo in traduzione inglese.





[1] Esistono vari modi di traslitterare l’arabo a seconda del sistema di riferimento adottato, pertanto il suddetto va traslitterato con Majdi Al-Sha‘fi, ma si troveranno inoltre le dicitura “Magdy Al Shafee” o “Magdy El Shafi”. Linko il sito di Sha'fi: http://www.magdycomics.com/
[2] La Dar Merit è la piccola casa editrice diretta da Mohamed Hashim che con coraggio e determinazione pubblica i libri che infrangono i maggiori tabù del Paese. Ha pubblicato, tra gli altri, anche la prima edizione di Palazzo Yacoubian di Ala Al Aswani.
[3] Si tratta della più grande manifestazione culturale del Nord Africa e Medio Oriente. Si tiene a metà gennaio con cadenza annuale nel quartiere Nasr City (o Medinat el Nasr) del Cairo.

sabato 16 febbraio 2008

Marjane lascia l'Iran

Marjane ha lasciato l'Iran. Di cosa parlo? Ho appena finito di leggere Persepolis, il graphic novel autobiografico dell'iraniana Marjane Satrapi. Volgarmente detto "fumetto" in realtà è stato ben più coinvolgente ed emozionante di tantissimi altri romanzi e non vedo l’ora di vedere il film. Sono felice di averlo letto e ringrazio la persona che mi ha regalato il libro, perchè sono certa che senza la sua altruistica imposizione non l'avrei mai letto! Ho sempre mal tollerato le vignette, da bambina non riuscivo a comprendere il diletto che i miei amichetti provassero nel leggere quelle ‘cose’ in bianco e nero che io ritenevo mere sciocchezze. Non so perchè non mi piacessero ma ricordo benissimo che riflettei su questa cosa e giunsi perfino a comprare un topolino: mi ostinavo ad accettare di essere diversa dagli altri. Trovavo anormale non provare attrazione verso quello che rappresentava per tutti i miei coetanei oggetto di interesse e scambi. Io mi limitavo al mensile Poochie, ed ero perfino iscritta al club dei lettori. Tramite questo giornaletto per bimbe viziatelle, ho iniziato la mitica corrispondenza con altre coetanee provenienti da ogni parte d'Italia. Una passione che, in un modo o nell’altro, mi ha trasmesso mio padre; tante persone che non conoscevo chiamavano per parlare con lui, era grande mio padre e volevo essere come lui e avere tanti amici in tutto il mondo. Non so se fosse solo per vanità oppure per spirito emulativo, ma ricordo che mi piaceva scambiare foto, cartoline e buffi racconti. Attendere ogni giorno di tornare a casa per pranzo e trovare una lettera per me nella buca delle lettera era una conquista indescrivibile .. Non pensavo a queste cose da tempo e mi sono lasciata piacevolmente trasportare da questo improvviso flusso di coscienza .. ma tornando all’oggetto di questo post, ossia Persepolis, posto di seguito la recensione curata da Nadia Rosso e apparsa il 6 febbraio sul quotidiano La Sicilia:

Talentuosa scrittrice e disegnatrice, Marjane Satrapi è divenuta in breve tempo un vero e proprio caso letterario. Dopo aver lasciato volontariamente l'Iran, suo paese natale, per emigrare in Francia, l'incontro col fumettista David B. le ha aperto le porte della "bande dessinée" francese attraverso la notissima casa editrice "L'Association". Autrice di racconti e disegnatrice di libri per l'infanzia, la Satrapi ha trovato infatti nel crudo bianco e nero dei suoi "romanzi a fumetti" la sua originale maniera di intendere l'arte. Indissolubile "fil rouge" delle sue opere è il profondo e inscindibile legame con la terra d'origine, a volte amaro e malinconico, altre volte violento e provocatorio, svelando attraverso il potere e la forza del disegno uno spaccato delle tradizioni del suo popolo in modo originale e disincantato. Col lungo racconto "Pollo alle prugne" (2004), l'autrice iraniana riflette, attraverso la parabola esistenziale di un antenato musicista (suo alter ego), sulle complicazioni di una vita interamente dedita all'arte e al sogno. Assolutamente spietato e all'insegna della misantropia è invece il ritratto familiare che emerge da "Taglia e cuci" (2003) nel quale l'innocua metafora del cucito svela con piglio divertito e intelligentemente ironico difetti e pregi del mondo maschile, gioie e dolori del matrimonio. L'opera più matura, quella che le assicurato una notorietà mondiale, è tuttavia il graphic novel "Persepolis", serializzato in Francia a partire dal 2000, che l'ha fatta conoscere al grande pubblico, fino all'assegnazione del massimo riconoscimento al "Festival International de la Bande Dessinée" d'Angoulême, che in terra di Francia è una specie di premio Nobel del fumetto. Il romanzo racconta in prima persona le vicende autobiografiche della giovane e ribelle Marjane, sullo sfondo di un Iran testimone del passaggio di regime dal governo persiano filo-occidentale dello scià Muhammad Reza Pahlavi a quello islamico e fondamentalista dell'ayatollah Khomeini.La chiave dell'opera è semplice. Essa fa perno sulla pungente arma dell'ironia, sulla semplicità del tratto e sull'universalità del messaggio che veicola. Semplicità e realismo stilizzato, infatti, servono all'autrice per raccontare un percorso di vita: dalla ribellione adolescenziale, ai compromessi dell'età adulta. Il successo mondiale della serie e l'incontro con il regista Vincent Paronnaud hanno reso possibile un adattamento per il grande schermo, che ha già ottenuto l'ambito Premio della Giuria allo scorso Festival di Cannes e una candidatura agli Oscar. Il film, come il romanzo, non è solo un atto d'accusa contro il regime teocratico degli ayatollah, ma rappresenta soprattutto un itinerario di formazione, lo sforzo di trovare il proprio posto nel mondo, accompagnato sempre da un irrefrenabile e caparbio amore per la vita. Attraverso l'intera sua produzione, ad un tempo lirica ed essenziale, ironica e schietta, la Satrapi riflette e ci fa riflettere, sorride e ci fa sorridere, scegliendo di raccontare la volontà di vivere la propria vita, anche sullo sfondo delle tragedie di cui siamo ogni giorno spettatori e, quindi, testimoni[1].

[1] http://giornale.lasicilia.it/giornale/0602/CT0602/CS/CS01/05.html