giovedì 28 febbraio 2008

Ali Abou Shadi: "la lama e l'inchiostro"

Pochi giorni fa ho pubblicato il post “Cinematografia egiziana: lungimiranza del censore e bigottismo del pubblico” relativo all’atteggiamento della censura nei confronti del cinema egiziano, facendo riferimento in modo particolare al trattamento dell’omosessualità. Oggi torno sull’argomento (e ci tornerò più volte!) proponendo in traduzione italiana, una bella intervista realizzata da Nadia Abou Al-Magd (apparsa sul settimanale egiziano “Al Ahram weekly” nel luglio del 1999) al Presidente della Censura egiziana Ali Abou Shadi.
Segue l’articolo.

Si laurea al dipartimento arabo dell’Università del Cairo, presso la Facoltà di Arte. (..)
Dopo la laurea, nel 1966, si unì al Ministero della Cultura e scrisse diversi libri di critica cinematografica. Nel 1975 ottenne il diploma di critica d’arte e da allora il suo nome è stato associato a quello di importante critico.

Gli fu offerto il ruolo di Presidente della censure nel 1988, ma declinò l’offerta e nel 1996 gli fu nuovamente offerto quel lavoro e, nonostante una certa riluttanza, accettò.


Sono felice di aver accettato adesso e non 11 anni fa, perché nel frattempo sono notevolmente cresciuto sul piano artistico. Ho letto tantissimo sulla censura e ho terminato un lungo studio sulla relazione tra censura ed estremismo. La mia esitazione era dovuta soprattutto alla questione di come avrei trovato un compromesso tra censura e creatività, o, più specificamente, tra censura e criticismo.”

Nel suo libro, intitolato "L’impatto dell’estremismo sulla censura del cinema e della televisione”, scrisse che gli artisti dotati di autentica creatività sono soggetti a pressioni da parte di un’enorme varietà di istituzioni:
dipartimento della censura artistica, dipartimento della censura televisiva, apparato di sicurezza nazionale, il ministero degli interni di Al-Azhar.
Concludeva dicendo che “la censura contribuisce, attraverso il terrore, la prudenza, la solidarietà e la partecipazione a imporre concetti estremi nei cuori e nelle menti di molti. Ci vorrà troppo tempo per eliminare quest‘influenza.”
Il lavoro di censore, gli venne offerto dopo che questo studio fu pubblicato. “Forse volevano punirmi”, dice ridendo.

“Ho accettato questo lavoro come un dovere. Io sono una di quelli che ha più criticato la censura, ma non ho mai detto che dovrebbe essere abolita. Sono al servizio dello stato dal 1968. Ritengo che il lavoro statale sia un ruolo pubblico. Se ciascuno di noi eccellesse nel lavoro di cui si occupa, credo che l’Egitto sarebbe un luogo diverso”.
Per Abou Shadi, la censura è un sottoprodotto della società, e il mestiere di censore resterà necessario fin quando la società sarà matura abbastanza da rimpiazzare la censura statale con la censura popolare. La censura è come un matrimonio – e, spesso, si divorzia: un male inevitabile” dice, ridendo.
Ovviamente Abou Shadi crede che la società egiziana non sia ancora pronta, così l’esistenza della legge della censura, non dovrebbe essere modificata.
Siamo in un paese in cui c’è una seria confusione concettuale. L’atmosfera conservatrice forzata dal fondamentalismo predomina ancora”.
Quando ha accettato il lavoro, sono scoppiate diverse “lotte” causate da quelli che lui definisce “estremisti”. “Sin dal primo giorno, la mia politica è stata di non dire quello che avevo intenzione di fare. Faccio ciò che voglio.” Abou Shadi non dirà tanto, perché non vuole dare agli estremisti quello che vogliono di più: pubblicità.”
Ma le battaglie sono risapute. L’anno scorso, ad esempio, un gruppo di avvocati ha aperto un caso contro Abou Shadi per aver approvato la proiezione di un film chiamato “nudità” (titolo poi mutato in “Conversazione notturna”) diretto da Inas el Deghidi.
Gli avvocati hanno basato la loro accusa su un’intervista in cui Abou Shadi dichiarava:
“La censura può permettere le cose che accadono nella vita .. perché non ci esercitiamo a fronteggiare quelle cose senza timore o senza eccessiva sensibilità?” I legali non avevano visto il film, che è stato ultimato quando portarono Abou Shadi in tribunale.
Il problema è che tutti quelli che sono stati coinvolti in tali battaglie con la censura non vedono i film di cui si lamentano”, dice esasperato.
Abou Shadi è comunque lieto che il principale problema della censura non stia più nel modo di sopprimere la creatività e mettere a tacere gli artisti. Al contrario, ritiene che il censore e gli artisti formino una coalizione “contro i dissidenti che stanno cercando di sopprimere la creatività”.

L’anno scorso, c’è stata inoltre la controversia de “L’avvocato del Diavolo” e sono stati usati toni blasfemi, la questione è stata affrontata dall’Assemblea del Popolo. Un membro di al Azhar è esploso dicendo : “l’americano Avvocato del Diavolo insulta Dio nel Paese di al Azhar”.


Ciò che mi ha fatto davvero arrabbiare è che questa era una falsa accusa proveniente da gente che non aveva visto il film, ma stava facendo un sacco di clamore. Ho realizzato di combattere quella battaglia da solo”. Le battaglie hanno bisogno di tempo. Bisogna essere coraggiosi e veri con se stessi, ecco tutto. Naghib Mahfuz ha detto che “le conseguenze del coraggio sono più semplici da affrontare, rispetto a quelle della codardaggine.”

Una parte della sua lotta quotidiana è dovuta al fatto che è incapace di “segnare la linea di demarcazione tra creatività e censura. “Il mio problema è che la mia vita, il mio hobby, la mia professione, i miei amici sono tutti sullo stesso piano. A volte questa è una benedizione, altre volte, una maledizione.”
(..)
Abou Shadi ritiene che l’arte sia “più lungimirante della censura e più immortale”. Ha inoltre proposto che le copie originali dei film che ha censurato vengano salvate, integralmente, presso gli archivi del Centro Nazionale di Cinema. Dopo tutto, dice, “cose che vengono censurate oggi, potrebbero esser permesse in futuro”.
Questo sembra improbabile comunque, dato che, come nota, “film che sono stati approvati dalla censura degli anni ’60 e ’70, come Al-hammam al-malatili (“Il bagno di Malatili”, un film che include una parte esplicita sull’omosessualità), non passerebbero l’ufficio della censura integralmente, oggi. “L’Egitto di allora era diverso – meno conservatore”, considera.
Abou Shadi ha unito i frammenti apparentemente inconciliabili della sua personalità – la sua passione per l’arte e il cinema e il suo ruolo di censore – con un piccolo conflitto, sembra.


Spesso sono il censore, ma sempre sono un critico”, dice tranquillamente.

In quanto Ali Abou Shadi, potrei accettare cose che le leggi della censura rifiutano. In quanto critico, propendo per un’infinita libertà, ma in quanto censore, devo applicare la legge.”

(..)
Dopo aver parlato con Ali Abou Shadi, è praticamente impossibile immaginarlo utilizzare le forbici del censore con distacco, ambivalenza e senza scrupoli. In qualche modo, si percepisce che non ha mai messo da parte la sua penna di critico.

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