domenica 24 febbraio 2008

Cinematografia egiziana: lungimiranza del censore e bigottismo del pubblico

Nella maggior parte dei Paesi arabi, e in ciò l’Egitto non fa differenza, il progetto di un film deve innanzitutto essere vagliato da una commissione statale la quale rilascerà o meno il permesso di girare le scene e, una volta ottenuto il permesso, occorre conseguire un altro placet, una sorta di visto che viene rilasciato da una commissione del ministero dell’informazione o da una commissione della censura affinché il film venga immesso nel mercato. L’ingerenza dello stato nel campo del cinema risale alla nascita di quest’ultimo ma la censura ufficiale è iniziata nel 1921. Nel 1976 è stata approvata la cosiddetta 11 comandamenti della censura, una legge che rettificava quella del 1955 sulla censura. Le più importanti aree di tabù poste sotto la sorveglianza della censura sono il sesso, la religione e la politica:
le religioni divine (Islam, Cristianesimo e Giudaismo) non vanno criticate; le azioni immorali e i vizzi non dovrebbero essere giustificati, bensì puniti; immagini di corpi nudi o un’enfasi smodata su singole parti erotiche, la rappresentazione di scene sessualmente eccitanti e scene in cui si fa uso di alcol e droghe non sono permesse. Inoltre è proibito l’eccessivo uso di horror e violenza, o incitare alla loro emulazione, è vietato rappresentare problemi sociali che sconvolgano la mente, o dividano le religioni, le classi e l’unità della nazione.
Nonostante le interdizioni contenute nelle varie leggi sulla censura[1], fin dagli inizi del cinema egiziano, negli anni ’20, la sessualità è stata, in un modo o nell’altro, espressa nei film, e sempre nei limiti dei cosiddetti rapporti eterosessuali. Qualunque altro comportamento sessuale è considerato illecito[2].
Come conferma il critico cinematografico Sabban, sebbene non fosse vista sotto una luce positiva, “l’omosessualità non è stata del tutto assente dal cinema egiziano”[3].
D’altronde, era il pubblico stesso a rifiutarla, e perfino gli artisti talvolta accettavano con riluttanza di interpretare il ruolo di un personaggio omosessuale temendo di compromettere la loro immagine di fronte al pubblico. Purtroppo tutt’oggi alcuni attori e attrici si tirano indietro di fronte all’interpretazione di un personaggio omosessuale. La produzione di ‘Imarat Ya‘qubiyan…n ha trovato il personaggio del giornalista gay dopo aver ricevuto i rifiuti da parte di ben sei star, tra le quali anche Faruq Al-Fišawī che si è tirato indietro pochi giorni prima che iniziassero le riprese del film, temendo che potesse accadere nuovamente quanto era successo a Yusuf Ša‘ban che interpretava l’artista gay in Hammam al Malatili nel 1973: Fišawī ha rifiutato il ruolo temendo di danneggiare la sua immagine.
Malgrado il cinema abbia lasciato che criminali, assassini, corrotti e omicidi avessero la loro espressione drammatica, il ruolo dell’omosessuale ha subito pesanti restrizioni, per il sospetto che venisse eseguito da attori omosessuali.
Se la rappresentazione esplicita degli atti omosessuali è stata oggetto di una strettissima censura, le allusioni cinematografiche a gay e lesbiche, come è accaduto nelle cinematografie di altre società, sono state codificate e mascherate per bypassare le forbici della censura attraverso il procedimento del travestimento. Registi e sceneggiatori hanno sempre trovato diversi escamotage per raggirare le forbici della censura, preferendo affrontare i temi più delicati come quelli legati alle devianze sessuali, distorcendone la connotazione attraverso l’ironia o l’ambiguità oppure in modo indiretto tramite allusioni e messaggi codificati come fanno Šahin, Nasrallah e altri. Va ricordato che nessun film egiziano è stato più bandito a partire dal 1984, tutt’al più la commissione della censura egiziana ha chiesto ai cineasti di apportare delle modifiche. Pochi anni fa il ministro della cultura prese la decisione di proibire il romanzo e il film Il codice Da Vinci, ma nei fatti sono stati entrambi reperibili in Egitto e sono inoltre uscite delle copie in lingua araba su internet.


[1] Per un approfondimento sulla censura, cfr. G. Phelps, Film Censorship, London, Victor Gollancz, 1975; cfr. anche V. Shafiq, Egyptian cinema, in Companion Encyclopedia of Middle Eastern and North African Film, a cura di O. Leaman, 2001.
[2] L’Islam riconosce sia agli uomini che alle donne il diritto a una vita sessuale e all’appagamento fisico e sancisce le relazioni eterosessuali all’interno del matrimonio e del concubinaggio legale.
[3] R. Sabban, Les six grands tabous du cinéma égyptien, in «Les cinémas arabes, numero speciale di Cinémaction» , Parigi 43/1986, p. 136.

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